mercoledì 2 maggio 2012

PARTNERSHIP AL PROGETTO: FRANCESCO E GIUSEPPE EMBLEMA


Ricercare una partnership per il mercato dell’ecosostenibile significa accelerare le opportunità di riuscita del progetto. Sinergia e complementarietà di enti e privati altamente specializzati nei propri settori offrono ai clienti finali una maggiore gamma di servizi e migliori competenze e professionalità.
Francesco e Giuseppe Emblema hanno messo a punto, già dal 1987, un’azienda l’ “Emblema Opificio”, che ha posto in atto una serie di processi di lavorazione, che nella piena coscienza della propria tradizione manifatturiera e artistica, si muovono verso orizzonti d’avanguardia, per immagine e per approccio creativo. Il lavoro dell’Emblema Opificio a Terzigno, piccolo centro alle falde del Vesuvio, muove infatti da una base materica costituita da lapilli, pozzolane, sabbie, schiume e minerali di origine magmatica, provenienti appunto dai territori partenopei.
L’interazione di questi costituenti durante il processo di lavorazione determina le caratteristiche di questa “materia tecnologica” che dalla sua origine (in forma semiliquida) alla sua trasformazione in oggetto d’arredo conserva inalterate tutte le proprie peculiarità fisiche e dinamiche.

La materia lavica può venire lavorata “a freddo” ed indotta ad assumere qualsiasi forma grazie ad una innata docilità costitutiva.
Può inoltre, essere messa in reazione con ossidi metallici che ne determinino il colore e la  capacità di reazione alla luce. O ancora può venire portata a cottura a temperature non inferiori ai mille gradi Celsius conferendole così una caratteristica superficie bruno opaca spesso accompagnata da interventi con ossido rameico.

L’impasto lavico, costituito da derivati piroclastici, pomici, pozzolane, schiume e sabbie di derivazione vulcanica, pur conservando un forte rapporto con quel modo artigianale che caratterizza le piccole produzioni artistiche, viene modernizzata nelle possibilità espressive, e reso recettivo alle evoluzione del design.
Un ponte quindi, tra il passato ed un futuro che tuttavia non perde d’occhio un ideale di bellezza ed equilibrio formale.
Il lavoro dell’ Emblema Opificio va dalla creazione di complementi d’arredo, quali vassoi, tavoli, sedute e oggettistica per la casa, all’arredamento per interni ed esterni, (con soluzioni che in quest’ultimo caso vengono calibrate sull’ambiente e sulle necessità della committenza) non tralasciano tuttavia quella coerenza ideativa che caratterizza fortemente tutta la produzione.
Negli ultimi anni, l’Opificio ha applicato le sue tecniche lavorative anche ad altri materiali, come il legno e sopratutto il metallo, dando inizio ad una produzione di maniglie ed oggettistica che sfrutta un processo di fusione non comune, una fusione diretta da matrici vegetali, messa a punto dopo anni di ricerche.
Ovviamente, come nel resto dei lavori, il risultato finale è un pezzo unico che rispecchia l’unicità sia della matrice che dell’intento creativo.
Inoltre numerose sono anche le esposizioni dell’Emblema Opificio, che hanno permesso di far conoscere una delle espressioni della realtà artigianale vesuviana.

Nel panorama dell’arte applicata, quindi, l’ Opificio si pone come una delle realtà più peculiari nel settore del design e della creazione di pezzi unici d’arredamento.

Nell’ambito del progetto di "Deposito di Idee" i fratelli Emblema pongono la loro attenzione sul finanziamento e sulla realizzazione di laboratori creativi all’interno delle aree del concept store.
«La nostra idea – spiega Francesco Emblema – è quella di far conoscere il marchio in giro per il mondo. Il lavoro del nostro opificio ha bisogno di una marcia in più nei confronti del pubblico che, solo attraverso l’approccio in un laboratorio educativo, può apprezzare la nostra originale produzione». Come già avviene negli spazi espositivi del museo Emblema di Terzigno, dedicato all’artista Salvatore Emblema, padre di Francesco e Giuseppe, anche per Deposito di Idee saranno realizzate, per il giardino antistante la struttura, istallazioni tutte caratterizzate da una forte sperimentazione di materiali diversi, dalle foglie disseccate alle pietre e minerali. «Inoltre – aggiunge F. Emblema – vorremmo che Deposito di Idee fosse un concentrato di attività artigianali. In continuità con il nostro museo,  infatti, ci piacerebbe invitare all’interno dello store una cooperativa di artigiani che lavorano su commissione e con cui, a suo tempo e con mezzi più modesti, Salvatore realizzò sedie dal particolare design utilizzate anche su set cinematografici e tavoli di legno “bruciato” ancora oggi visibili presso gli spazi espositivi terzignesi. Nel frattempo, anche attivare un laboratorio etico estetico permanente, dove far avvicinare bambini, scolaresche e anche adulti ai materiali naturali e agli strumenti necessari per “fare arte”; si tratta di un’attività meritoria visto che l’arte e in particolare quella contemporanea, viene relegata ai margini delle priorità d’insegnamento.  Ci troveremmo, dunque, di fronte a uno store-museo ancor più differente e particolare in quanto aperto ad una maggiore fruibilità, assolutamente da visitare».


  
OPIFICIO EMBLEMA

















MUSEO EMBLEMA









venerdì 20 aprile 2012

STUDIO DI UN'OPERA

FRANK LLOYD WRIGHT_ FALLING WATER (BEAR RUN 1935)



Il plastico della città di Wright esposto a Pittsburgh nei Grandi ma­gazzini Kaufmann (un bell'edificio del 1885 con motivi della Scuola di Chicago) è l'occasione che fa nascere un nuovo, piccolo, incarico: una casa per il week-end da realizzare per Mr.Edgar Kaufmann, nella grande proprietà di Mill Run, nella foresta della Pennsylvania occi­dentale.
 Il sito prescelto - Bear Run - è meta di rustici soggiorni del­la famiglia in una capanna di legno. È un luogo affascinante, caratte­rizzato da alberi altissimi e grandi rocce e soprattutto da un piccolo torrente - il corso dell'orso - che forma una placida pozza e poi, sal­tando bruscamente di quota, una cascatella.
 

Quello che presiede quest'opera è un incredibile, indicibile senso di RICOMINCIAMENTO. È un re-inizio che per Wright è potuto avvenire questo livello solo perché tra il 1929 il 1932, negli anni della più profonda crisi professionale e spinto dalla nuova moglie, la forte Olga Lazovich, aveva scritto la propria autobiografia. Questa scrittura non è quella di chi nostalgicamente fa un bilancio ultimo e definitivo di una vita da consegnare ai posteri (pur se, evidentemente, i segni dell'autoglorificazione sono presenti e numerosi), è al contrario un'occasione per mettere "in ordine" il pas­sato e per poter quindi ricominciare.
Ma il senso di re-inizio di Fallingwater non è solo rispetto all'ope­ra precedente, ma anche rispetto ad alcune delle armi di progetto sin lì elaborate. Abbiamo visto quanto determinante fosse in Wright l'uso della griglia come sistema di conquista spaziale, di controllo dimen­sionale e costruttivo.
Ebbene, la prima scelta di Fallingwater è pro­prio il RIFIUTO DELLA GRIGLIA. Troppo forte il senso spaziale, l'idea di slancio nello spazio, per poter in alcun modo essere "reticolata". Il salto del cavallo, l'eliminazione di un metodo potentissimo per af­frontare un'altra strada, rischiosa ma necessaria, è il segno dell'indivi­duo che si lancia "SENZA RETI" verso il nuovo della ricerca estetica.

Ecco allora che Wright traccia ogni tre metri una linea ortogonale alla roccia e al flusso del ruscello e una linea rossa ad essa ortogonale. Si formano cinque campate o baie nella direzione nord-sud e una in direzione est-ovest che determinano la struttura dell'organismo. Struttura che è evidentemente costruttiva, ma anche di uso, di direzione, di orientamento verso il sole e il pae­saggio.
Alle baie si oppone un secondo sistema, quello spiraliforme che con scalettamenti successivi aggrappa la casa alla rocce e definisce una corteccia verso nord. A questo punto, ovvio diventa il sistema di funzionamento: spazi serventi - accesso, scale, bagni - verso il cam­minamento (che, superato con un ponte il torrente, conduce alla casa e più tardi - a monte - alla suite degli ospiti), e spazi serviti dalla parte opposta verso l'acqua e la cascata.
Queste scelte di struttura, determinano tutto quando sono accop­piate all'orizzonte poetico inseguito da Wright (“la linea orizzontale della libertà è il respiro stesso della sua architettura” disse). Nelle baie si organiz­zano ovviamente i sistemi della struttura portante che, come tronchi, sorreggeranno in enormi sbalzi i cassetti delle terrazze che muoven­dosi ortogonalmente l'uno sull'altro nei diversi livelli slanciano l'ope­ra all'esterno.
L’IDEA DEL GRANDE FUSTO E DEI RAMI viene rappresentato nei tre materiali: i piani orizzontali ocra in cemento, le strutture verti­cali in pietra grigia, gli infissi, come le vene del sistema che innervano vita, rosse.
Si ritrovano qui tutti i temi wríghtiani. Il senso di espansione nello spazio, qui esaltato dalla fantastica localizzazione e dal movimento del ruscello, il signi­ficato della struttura come conformazione dello spazio, rafforzata dall'uso del cemento armato nelle grandi terrazze in aggetto e dalle mura verso monte, il senso di costruzione centripeta a partire da un nucleo (qui il centro verticale del camino-cucina) ancorato alle roc­ce, la contrazione degli spazi e la loro successiva espansione sino a risucchiare l'esterno, il senso di protezione degli interni.
I contrasti tra verticale e orizzontale sono laceranti e non appa­ganti. I corpi verticali in pietra da taglio stridono accanto agli immen­si sbalzi ocra delle terrazze.  I coni d'ombra determinati dagli aggetti spezzano e dilaniano la composizione, gli infissi rossi in ferro, corro­no come lame in verticale e in orizzontale. I piani orizzontali come le eliche del mulino si avvitano nell'aria. L'insieme può essere sentito solo come evento.

L'architettura è astratta, nuova, violentemente contemporanea.









IL BANG DELL'ARCHITETTURA